L’era della balena

L’era della balenaL'era della balena
di Licio Di Biase

Prefazione
L’Abruzzo, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, era rimasto fermo in una condizione di grave arretratezza economica, sociale e cultura­le. La nascita di una nuova Provincia, istituita nel 1927 per valorizzare il ruolo di Pescara e farne il fulcro di nuove prospettive per l’intera regione, non aveva potuto sviluppare alcun concreto effetto nel territorio durante il breve tempo trascorso tra l’enunciazione di questo auspicio e lo scoppio della guerra; questa, poi, aveva prodotto gravissimi danni soprattutto lungo il fronte adriatico che si attestò per lunghi mesi sulla linea del Sangro, ridu­cendo a un cumulo dì macerie intere città, come Ortona, Francavilla e la stessa Pescara, evacuata di tutti i suoi abitanti e fisicamente distrutta al 70%.In queste disastrose condizioni ha inizio la nuova stagione della speranza, della ricostruzione e dello sviluppo: l’era della Democrazia Cristiana. Se il dramma dell’emigrazione può essere l’indice riassuntivo delle difficoltà di un popolo, basterà ricordare che dall’inizio del secolo fino alla istituzione delle Regioni ordinarie, l’Abruzzo, che contava circa 1.200.000 abitanti, ha visto emigrare oltre 600.000 persone.

Di queste, ben 250.000 hanno dovuto lasciare la loro terra proprio negli anni del dopoguerra, men­tre incominciava a realizzarsi il riscatto da un secolare immobilismo. Questo dimostra quanto fossero diffusi la povertà e il disagio specie nelle zone interne, tanto che nella letteratura scientifica si parlò di spopolamento del­l’Abruzzo e non di emigrazione. Altro indice di tempi ormai dimenticati è il tasso di analfabetismo che fino agli anni ‘50 raggiungeva il 20%. L’occupazione nel settore agricolo, in una agricoltura povera ed estrema­mente parcellizzata era ancora del 50%, con un reddito medio pari alla metà di quello delle categorie industriali, mentre in Lombardia era solo del 18%; così pure, a paragone, gli addetti all’industria erano il 40% contro il 60% della Lombardia.

È alla luce di questi semplici dati che deve essere valutato l’impegno profuso da quanti hanno fatto uscire la gente d’Abruzzo da una arretratezza nella quale era immersa da secoli, e nel breve volgere di venti anni hanno fatto progredire la regione sul piano economico, civile e culturale. Non secondario è stato in questa fase l’apporto delle istituzioni religiose, nel campo della scuola dalle primarie agli istituti superiori, come anche in quello della formazione professionale dove grandi erano le carenze di ini­ziativa pubblica a fronte delle nuove esigenze poste dalla produzione indu­striale. L’Opera Iuventutis, gli istituti salesiani, ed altri numerosi centri di formazione professionale ispirati dalla iniziativa religiosa, registrano l’af­fluenza di oltre 4.000 allievi e di altrettanti giovani lavoratori avviati per l’apprendistato presso le nascenti industrie. Nel 1970, l’anno della istituzione dell’Ente Regione, poteva verificarsi finalmente un saldo attivo nel bilancio della emigrazione, a causa del rientro di molti emigrati. Lo sviluppo industriale aveva preso avvio, facendo fronte anche all’esodo massiccio di lavoratori dalle campagne e dalle zone interne.

Certamente questo si deve alla tenacia, alla capacità, alla ferma volontà di tutti gli abruzzesi, all’ingresso di nuove energie nelle sfere diri­genziali e professionali a tutti i livelli, ma indubbiamente l’iniziativa politica è stata determinante. La DC è la principale protagonista della nuova stagio­ne di progresso in cui si compie il passaggio dall’economia prevalentemen­te agricola a quella di tipo industriale. Con a capo prima Giuseppe Spataro e poi Remo Gaspari e Lorenzo Natali, la DC esprime una classe politica di schiette radici popolari, consapevole delle potenzialità della Regione. L’Abruz­zo ha voltato pagina. La DC abruzzese ha assunto con coraggio e decisione scelte che a volte sono state considerate discutibili, ma che hanno determinato il progresso della regione fino a farne la prima nel Mezzogiorno e quindi metterla in condizioni tali da poter essere esclusa dai benefici dell’obiettivo “1” dell’intervento straordinario. Le scelte fondamentali sono state indirizzate verso la realizzazione della rete delle infrastrutture, tra le quali una serie di aree e nuclei per lo svilup­po industriale distribuiti in modo ottimale nel territorio, i collegamenti auto-stradali, la viabilità capillare, la distribuzione particolarmente diffusa della rete metanifera, il potenziamento dei porti e dell’aeroporto. E poi la capacità di attirare l’attenzione della grande industria privata ed a partecipazione statale, dalla Fiat all’Italtel, dalla Siv alla Marelli, dalla Honda alla Sevel, e di tante altre.

E poi la politica per le università nate dalla volontà e dalla iniziativa degli Enti Locali e da essi stessi realizzate assumendone inizialmente l’onere, senza il confronto e a volte con la contrarietà del mondo accademico e ministeriale: al momento della statizzazione le libere Università d’Abruzzo potevano contare già 15.000 iscritti. La DC, nel tempo di una generazione, è riuscita a trasformare l’Abruzzo da terra di pastori a terra di progresso e di sviluppo incentrati sulla valorizzazione delle risorse endogene, tanto da costituire, per la fioritura di piccole e medie imprese che ne caratterizzano il tessuto produttivo, un modello di sviluppo per l’intero mezzogiorno.

On. Bruno TABACCI

Introduzione
Raccontare la storia dell’Abruzzo della seconda metà del ‘900, non può prescindere dalla DC. Non ho la presunzione di scrivere la storia della nostra Regione, questo è il compito degli studiosi, ma solo di contribuire a riflettere sul ruolo avuto dalla DC. L’Abruzzo, appena dopo la guerra, era una Regione di pecore e pastori, isolata dal resto d’Italia, con un’economia basata oltre che sull’allevamento, su una agricoltura arretrata che, lontana dal produrre ricchezza e benesse­re, riusciv appena a garantire la sopravvivenza. Così 1 aveva lasciata il fascismo. La DC l’ha presa per mano e l’h condotta verso il progresso. Strade, autostrade, industrie, università, porti, aeroporti, modernizzazione dell’agricoltura e tanta attenzione verso i problemi della gente comune.

Per riflettere sui cinquant’anni di storia che vanno dalla Costituente al 1993, anno in cui la DC venne liquidata, e per capire cosa e accaduto realmente nella DC abruzzese, ho coinvolto i principali protagonisti. E non per nostalgia, ma per sete di conoscenza. Per capire le cose fatte bene a cui ispirarsi, e gli errori da non ripetere. Ho coinvolto i protagonisti perché “questa storia” la devono scrivere coloro che sono stati al fronte; non è possibile concepire una storia critta dai tribunali e dai i giudici forcaioli. E per rivendicare con orgoglio la stagione della “grande balena”, ho trascritto le sensazioni, le idee, le opinioni dei protagonisti affinché non rimangano impresse nella memoria solo gli avvisi di garanzia o i rinvii a giudizio, che hanno prodotto archiviazioni e, quasi si sempre, assoluzioni. È evidente che c’è l’orgogliosa rivendicazione di una stagione politica condott all’insegna dell’attenzione verso il territorio, verso la gente, con spirito di abnegazione e al servizio della propria terra. La storia dell’Abruzzo, per cinquant’anni, l’ha scritta la DC, con scelte che ne hanno determinato il progresso, con intuizioni capaci di creare be­nessere. Per tutti. Senza discriminazioni. La DC era garante di tutti, nonostante le lacerazioni interne e gli aspri confronti.

E purtroppo la DC degli ultimi anni esplose, incapace di individuare i rimedi ad un sistema correntizio, frutto di una sana dialettica democratica, ma che giunse alla degenerazione. Però la DC, partito democratico, seppe governare nell’interesse delle comunità amministrate. Oggi chi governa, destra o sinistra, non riesce ad essere il garante di tutti. Neanche della propria parte politica. “Quarant’anni di governo DC’, diceva uno slogan in voga negli anni ‘80 “alcuni buoni altri meno buoni, ma tutti nella libertà”.

Com’è che dice la retorica di sinistra?
“Per non dimenticare!’
Bene. Questo libro è stato scritto “per non dimenticare”.

Licio Di Biase