Giuseppe Spataro – Una vita per la democrazia
di Licio Di Biase
L’on. Giulio Andreotti parla del libro di Licio Di Biase
A cura della redazione
Un affabile Andreotti ha parlato di Giuseppe Spataro e del libro che sul politico pescarese ha scritto Licio Di Biase. L’occasione è stata fornita da un interessantissimo incontro, tenuto il 9 giugno, ed organizzato dalla Fondazione “Venanzo Crocetti” che, grazie all’attivismo del suo Presidente Antonio Tancredi, ha strutturato un museo a Roma, sulla Cassia, nell’abitazione dell’artista a cui è intitolata la Fondazione, di grande spessore e ricco di pregevoli incontri culturali.
Un luogo affascinante, pieno di abruzzesità: non poteva essere luogo migliore per ricordare Giuseppe Spataro, abruzzese di nascita, romano di adozione, ma sempre legato dall’amore per la sua terra d’origine, come ha sottolineato l’On. Antonio Tancredi nel suo intervento di apertura, in cui ha tracciato il percorso della vita del Senatore di Vasto. L’On. Tancredi ha parlato di Spataro dai tempi del Partito Popolare, in cui fu vice di Sturzo, a quelli della Democrazia Cristiana, in cui fu Vice di De Gasperi, sottolineando la grande capacità organizzativa. Ha, inoltre, ricordato il Ministro Spataro, sempre a disposizione e al servizio della comunità abruzzese, artefice della ricostruzione dell’Abruzzo dopo la tragedia fascista e della seconda guerra mondiale.
Licio Di Biase, nel suo intervento, ha evidenziato le due personalità di Spataro, che emergono dalla lettura del libro, quella del grande organizzatore al servizio del Partito, come vice di Sturzo e di De Gasperi, e quella del grande uomo di governo, attento al territorio della sua regione. Di Biase ha, inoltre, ringraziato l’On. Tancredi per aver organizzato un interessantissimo incontro ed ha ringraziato il Senatore Andreotti che per la seconda volta, dopo la presentazione del gennaio 2006, ha accettato nuovamente di intervenire sul libro su Spataro.
Il Senatore Andreotti ha parlato degli incontri avuti con Spataro già nella fase terminale della seconda guerra mondiale, ricordando soprattutto che fu proprio il politico abruzzese a presentarlo a De Gasperi. Da lì nacque il rapporto forte e inscindibile che Andreotti ebbe con De Gasperi. “Nel periodo del fascismo Spataro ebbe il coraggio di mantenere vivi i rapporti tra i popolari sparsi in Italia ed anche con gli esponenti degli altri partiti”, ha sottolineato Andreotti “tanto che la sua abitazione in Via Cola di Rienzo divenne luogo di incontro clandestino dei partiti che si andavano organizzando. Noi giovani, che provenivamo dalle fila del movimento della Fuci, non conoscevamo i Popolari e tanto meno l’esperienza di Sturzo…per noi fu una scoperta tutto ciò che c’era stato prima del fascismo…”.
Andreotti, brillante, grande affabulatore, ha ricordato i momenti del governo del Paese, in cui Spataro dimostrò la sua serietà, la sua affidabilità, la sua grande carica umana e la sua riservatezza. Per nulla incline ai riflettori della notorietà, Spataro fu un attento servitore dei bisogni e delle esigenze dell’Abruzzo e degli abruzzesi. Andreotti, al termine del suo intervento, ha ricordato che Spataro fu un perfetto cristiano.
Ha concluso l’incontro Giuseppe Tagliente, concittadino di Spataro, che ha parlato dello statista vastese da non democristiano, e quindi il suo giudizio è stato ritenuto di grande importanza.
Al termine, la Fondazione ha animato la serata con musica classica e degustazione di piatti tipici abruzzesi.
Premessa
Un libro su Giuseppe Spataro potrebbe apparire, oggi, un¹’operazione nostalgica, soprattutto perché pubblicato in un’epoca in cui la politica ha perso ogni riferimento al “progetto” o alle “idee” per divenire solo ”baratto”. Ma “l’ansia” che prende coloro che hanno speso la vita per ideali forti e sani, induce a non cedere alle lusinghe di questa forma di politica mercantile, ad insistere nella conoscenza del passato, a recuperare il senso dell’appartenenza e la condivisione di valori e ideali del cattolicesimo democratico, perché solo l’insegnamento e la consapevolezza della condivisione possono stimolare le future generazioni a non sbagliare.
Quindi, questa pubblicazione, non appartenendo alla categoria della nostalgia, è soprattutto un messaggio lanciato agli “operatori” della politica contemporanea, affinché il “baratto” non abbia il totale sopravvento; costituisce, inoltre, un incoraggiamento ai giovani a guardare la politica con lo spirito di servizio e con il rispetto dei valori che appartengono alla grande tradizione del movimento cattolico democratico, e in sintonia con quella sensibilità che induceva Alexis de Tocqueville a scrivere: “si tiene insieme una vasta unione di uomini solo in due maniere: o promettendo a ognuno di loro un particolare vantaggio, o appassionandoli a un’idea chiara e nobile”, e a preferire la seconda soluzione. Giuseppe Spataro, l’abruzzese Spataro, è sicuramente un emblema del cattolicesimo democratico del Novecento.
Un uomo schivo, silenzioso che, oggi, nell’era della comunicazione, forse sarebbe in stridente contrasto con la politica urlata, ma che ha sempre creduto nell’importanza della comunicazione come mezzo per diffondere le proprie idee, per far conoscere alla gente le proprie posizioni e nel contempo non ha mai reputato la comunicazione come il fine della propria iniziativa politica, utile solo per “apparire”, a prescindere dalle cose da ”dire”. Spataro è stato, tra l’altro, l’uomo che ha sempre curato la stampa del partito, è stato l’uomo che ha garantito, con la sua azione e con le sue personali risorse, la vita del quotidiano «Il Popolo», prima con Sturzo, dopo con De Gasperi, sempre. Grande organizzatore della comunicazione, anche clandestina.
Qui, raccogliendo le testimonianze di coloro che ebbero rapporti diretti con Lui, vogliamo ricordare un uomo spesso dimenticato, che è stato il vero elemento di collegamento dei cattolici, dal Partito Popolare di Sturzo alla Democrazia Cristiana di De Gasperi, passando per il ventennio fascista. E questo libro è pubblicato per dire che c’era, sempre, ma soprattutto per rievocarlo con testimonianze dirette e non solo attraverso documenti, altrettanto importanti, da consultare. Fu Vicesegretario di Sturzo prima e, poi, alla guida del Partito Popolare nel triumvirato, quando Sturzo venne costretto ad esulare a Londra su pressioni del Vaticano, allora connivente con l’insorgente Fascismo.
E a proposito dell’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica, Spataro, nel suo libro “I Democratici Cristiani dalla dittatura alla Repubblica”, pubblicato da Mondadori nel 1968 (divenuto un cimelio e non più in circolazione, per cui è importante una ristampa), scrisse che vennero “messi al bando uomini che avevano promosso e sostenuto le organizzazioni cattoliche, che avevano difeso per decenni la Chiesa e le gerarchie ecclesiastiche contro la massoneria e le forze anticlericali e che in sede politica e sindacale si erano fatti portatori, non senza rischio, del messaggio sociale cristiano”. A volte sembra che la storia si ripeta e che la Chiesa, riferimento millenario per tanti uomini, abbia dei momenti di pericolosa amnesia. Spataro fu l’uomo che tenne i collegamenti tra i popolari, dopo lo scioglimento coatto del Partito nel 1926.
Spataro fu l’uomo che, correndo gravi rischi per la sua incolumità e per quella dei suoi cari, ospitò nella sua casa romana di Via Cola di Rienzo i popolari che volevano ricostruire il loro partito e anche i rappresentanti delle forze del Comitato di Liberazione Nazionale, nella fase terminale del Fascismo e nel periodo di transizione verso la Repubblica. ”Fu negli anni di vigilia della ripresa democratica”, scrisse Giulio Andreotti su «Il Popolo» del 31 gennaio 1979 ricordando “l’amico Peppino” scomparso il giorno prima, “che Spataro dimostrò particolare attenzione ai giovani, chiamandoli a partecipare a contatti con gli anziani ed impedendo loro di cadere vittime psicologiche delle ideologie totalitarie. Ricordo ancora con emozione la prima volta che mi trovai in una di queste riunioni Spataro faceva gli onori di casa, ricuciva legami interrotti, preparava gruppi di studio, intesseva la rete con tutta la periferia”.
I principi cardine del suo impegno furono: per quanto riguardava il partito, la sua piena laicità anche se di salda e profonda ispirazione cristiana, per quanto riguardava la politica, piena fiducia nella democrazia parlamentare e nella giustizia sociale, e per ciò che riguardava lo Stato, il pluralismo. In nome di questi ideali lottò e si sacrificò come pochi per mantenere a galla la scialuppa del cattolicesimo democratico nell’era fascista. Partecipò pienamente alla nascita della Democrazia Cristiana con De Gasperi, poi fu costantemente uomo di governo fino al 1962, e parlamentare fino al 1976, anno in cui decise di non ricandidarsi per lasciare spazio ai giovani. Nelle legislature al Senato ricoprì la carica di Vicepresidente.
Uomo di partito, grande organizzatore, uomo attento alla comunicazione, ancorato fortemente ai valori del cristianesimo, fu in gioventù presidente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), saggio, attento ed equilibrato nel governo del Paese, uomo di cultura ed aperto alle giovani generazioni. Ricoprì la carica di Presidente dell’Istituto Sturzo. Ma da abruzzesi lo vogliamo ricordare anche perché, pur vivendo a Roma fin da giovane, mantenne con la sua terra un forte legame, tanto forte ed incisivo da far tremare anche De Gasperi quando Spataro, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, si arrabbiò molto con lui per protestare contro l¹esclusione dell¹Abruzzo dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Era il 1950. Riuscì a far inserire l’Abruzzo nella Cassa! Quale sarebbe stato il futuro di questa Regione, a quel tempo ancora terra di pecore e pastori, se Spataro non avesse alzato il tono? Proviamo ad immaginare! E se De Gasperi non avesse voluto ascoltare le motivazioni per cui l’Abruzzo, Regione geograficamente collocata nell’Italia centrale, ma storicamente ancorata al Regno di Napoli, doveva essere inclusa nella Cassa per il Mezzogiorno? Forse non avremmo avuto la Val di Sangro, la Val Pescara, la Val Vibrata come realtà produttive vive della Regione.
Forse non avremmo avuto le autostrade, le altre arterie che hanno permesso all’Abruzzo di uscire da uno storico isolamento. Forse non avremmo avuto tutte le altre infrastrutture, forse non avremmo avuto una classe politica di democristiani, guidata da Gaspari e Natali, in grado di far decollare questa terra che fino all’inizio degli anni ‘90 guardava ancora da vicino le regioni del Nord.
Licio Di Biase