Castellamare nel tempo

Castellamare nel tempo

Castellamare nel tempo
di Licio Di Biase

Presentazione
Una qualche forma di racconto scandito per temi e suggestioni, senza cui non c’è passione storica o documentaria che possa autonomamente crescere… Una sua accertata visibilità estratta da ricerche e prelievi di un sapere ancora circoscritto e non diffuso, dall’archeologia, alla memoria storica locale, all’archivistica Molte parole ricavate (e opportunamente isolate) da documenti e da archivi altrimenti irra­giungibili. Parole che sembrano rappresentare il campo protetto di una “microstoria” tanto più utile quanto più disseminato, rincorso e delineato da una appezzamento all’altro, per raccontare e chiarire… Licio Di Biase ha costruito un puzzle, un’operina a encomiabile incastro lasciando vuote caselle essenziali e inzeppando le altre, con un accumulo che è nella natura del vuote caselle essenziali e inzeppando le altre, con un accumulo che è nella natura del “genere” da lui scelto per raccontare qualcosa che (sentimentalmente, culturalmente) molto lo intriga e gli appartiene. Quel qualcosa è un sentimento con cui, nell’epoca delle “mille patrie” soggette ad un indiscusso dominio catodico, bisogna pur fare i conti. Musil lo definisce “lo spirito della casa”: è quel tratto di appartenenza a un luogo che diventa “memoria immaginativa”, senso di continuità affidato a un simbolico “imprinting” di parole, gesti, riti confusamente impressi.

Questo sentimento può essere diversamente metabolizzato. Di Biase ne offre una patente dimostrazione. Con encomiabile spirito di servizio “storico”, in fiduciosa attesa che il seme fruttifichi e che altri sappiano trapiantarlo, l’intera sua materia viene organizzata intorno a un vero fantasma non solo storiografico. Cioè: a quella parte della odierna città di Pescara, l’antica Castellamare che, rinunziando al suo nome nell’anno della riunificazione a provin­cia, cancellò anche ogni suo segno bruciandolo nella festa dell’identità posticcia della nuova città. Che ebbe i simboli monumentali della costruzione fascista, benedetta dal poeta aviato­re il quale aveva raccontato trasfigurandola la lotta tra i due borghi e la diversa attrazione che li legava all’acqua.

Per Pescara quell’acqua era soprattutto fluviale. Con il borgo stretto dalla fortezza a lambire il fiume e a ricavare da esso il senso di una fondazione continua e di una continua precarietà, come elemento naturale in gran parte incontrollabile che diventa piena, alluvione, putrefa­zione appena l’acqua s’infiltra e ristagna nel territorio. Per Castellamare l’acqua (decisamente marina) sta a significare una discesa lenta dalla colli­na, dove s’era insediata nei secoli, per prendere possesso della marina attraverso i ridenti casini di villeggiatura in cui si temprò l’idea balneare frivola e contagiosa. Chè fece vivere quello spazio come uno spazio di ‘frontiera”, e infatti puntualmente – come in ogni frontiera che si rispetti – arrivò prestissimo il treno con la sua possibilità (anche effimera) di fermarsi, ma anche di metter radici anche salde.

Così i pescaresi post-borbonici, soffocati ancora dall’idea di essere vissuti dentro un recinto di mura di contrafforti e di bastioni, sciolsero nella novità una sorta di genetica claustrofobia dilapidando ogni memoria, cancellando ogni forma di passato e utilizzando (nella forma concreta dei mattoni della fortezza appena abbattuta) anche simbolicamente per la costruzio­ne urbana, per la nuova urbanità. E i castellamaresi post-borbonici scesero verso il mare riempendo gli spazi con l’idea di una città in cui si scontrava l’ipotesi della quiete balneare con un più agitato virus della crescita come mano in agguato sul territorio per dargli forma, anche irregolare e rapinosa, come la storia urbanistica della città purtroppo dimostra a chiare lettere. Dalle cronache e dai documenti riportati nel libro, certe figure (penso a Leopoldo Muzii, ma si potrebbe aggiungere nel conto anche Berardo Montani) acquistano un rilievo quasi balzachiano con la loro esistenza di protagonisti nella comunità. E nei modi con cui s’impegnarono, nelle fantasie e nelle visioni della città da cui furono alimentati e che cercarono di imporre, non solo come prassi amministrativa, ma come sogno pragmaticamente insediato sopra i loro utili mentali e finanziari.

Scrive Canetti che il vero valore del ricordo sta in questo: che ci fa capire che nulla è davvero passato. Le memorie del passato di Castellamare, riattivate da Di Biase sul solco di una memoria complessiva rimossa o cancellata, sono “un atto morale che si ripete”. Se davvero nulla è davvero passato, lo “spirito della casa” fiuta i legami, i fili invisibilmente collegati a “un’immagine di città” sprofondata nel tempo e, all’apparenza, inagibile dalla memoria al presente. Scegliendo la forma incompiuta e allargata con cui si presenta Castellarnare nel tempo, Di Biase compie un gesto di chiarezza e di umiltà intellettuale di cui gli siamo molto grati.

Renato Minore

Premessa
Da molti anni desideravo conoscere la storia di Castellamare, di cui avevo sentito parlare solo dalle persone più anziane, dal momento che il ricordo vivo di quel Comune, fin dal 1927, anno della fusione con Pescara, era andato spegnendosi. Le celebrazioni del 7O° anniversario dell’elevazione della città dannunziana al rango di pro­vincia, hanno ridestato il mio interesse, e senza più indugiare ho iniziato la ricerca di notizie e documenti che potessero in qualche modo contribuire a trarre Castellamare fuori dal dimenticatoio.

La ricerca mi ha portato lontano, e tutti gli elementi venuti in mio possesso mi hanno con­dotto alla constatazione che proprio quel borgo situato nella zona collinare, costituiva il vero nucleo storico, non solo di Castellamare, ma della stessa città di Pescara. Lo scopo di questo scritto è quello di mettere ordine nelle notizie emerse dalla documenta­zione consultata, in maniera da restituire a Castellamare il molo che le compete nella nascita e nello sviluppo della nostra città. Ho usato la denominazione “Castellamare” sbagliando, sapendo di sbagliare. Spiegherò le ragioni nell’ultimo capitolo. Una precisazione. Ho riportato i documenti integralmente, anche con gli errori, omettendo i termini che sono risultati incomprensibilì negli originali. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato ed hanno contribuito a realizzare questo scritto.

Licio Di Biase

Introduzione
L’evoluzione di Pescara nel ‘900 è stata caratterizzata da varie fasi e da vicende particolari. Senz’altro il momento più esaltante è stato l’atto di fusione tra Pescara e Castellamare, sepa­rate da un fiume, le cui storie hanno avuto corsi diversi. Tra la fine del 1926 e l’inizio del 1927, dopo vari tentativi di riunificazione (infatti le due città erano state amministrativamente unite fino al 1807), e dopo tanti progetti di legge da parte di parlamentari abruzzesi, Gabriele d’Annunzio, il personaggio per eccellenza di questo secolo ormai giunto alla conclusione, ottenne da Mussolini la sospirata fusione tra i due cen­tri e l’elevazione di Pescara al rango di provincia. Da quel momento iniziava una forte crescita sociale ed economica. Però, da quel momento iniziava anche un graduale e costante oblio di Castellamare. Tutte le ricerche e gli studi sulla città riguardano il “centro storico”, la fortezza e l’importan­za rivestita dal “vicus” (Aterno) nel corso dei secoli.

E’ fuor di dubbio che il “vicus” situato sull o sbocco del fiume (Ostia Aterni) costituiva il punto di congiunzione dell’entroterra appenninico con la costa; infatti da Roma ad Aterno convergevano la Via Salaria passando per Antrodoco, la Claudia Valeria e poi altre strade che passavano per Tivoli e Corfinio; si trattava di un punto strategico per i collegamenti di Roma con Solona, oggi Spalato, in Dalmazia.
Il “vicus” di “Ostia Aterni”, dall’VIII secolo d.C. “Piscaria” nell’età dei Longobardi, si svi­luppò, in età romana, soprattutto a sud del fiume; era, com’è stato definito, l’emporio dei Marrucini, dei Peligni, dei Frentani e dei Piceni.
Ma questa città, che molti credono senza un cuore antico, ha mostrato la sua vera identità, grazie agli studiosi più attenti. La Pescara romana è citata da storici autorevoli; nel ‘79 a.C., infatti, Plinio parla di Aterno e del suo porto, mentre Strabone sottolinea di aver constatato la navigabilità del fiume fino alla foce. La Pescara post-romana invece non ha avuto uguale gloria.

Se nell’epoca romana lo sviluppo si ebbe nella zona sud, nel periodo preromano ci fu uno sviluppo attraverso un sistema di villaggi sparsi a nord del fiume, in quella area che sarebbe diventata Castellamare e che è stata solo ricordata, in maniera sommaria, in qualche citazio­ne storica. Con la denominazione “Castellamare”, genericamente si intende la zona nord di Pescara, che si sviluppò intorno alla ferrovia; invece il primo nucleo abitativo sorse nella parte colli­nare. Esso con l’avvento della ferrovia e della stazione, fu gradualmente emarginato a van­taggio della zona costiera. Dalle prime notizie di insediamenti sul Colle del Telegrafo, risalenti al 1000 a.C., attraverso la storia di “Castellum ad Mare” (1000 d.C.), giungerò fino ai nostri giorni, ricordando il ruolo svolto dalla Parrocchia della Madonna dei Sette Dolori e lo sviluppo di Castellamare prima nella zona collinare, poi nella zona costiera, fino alla fusione con Pescara.