Dietro la Chiesa
di Licio Di Biase
Un libro tutto da leggere Il romanzo, “Dietro la Chiesa” (Pescara, Edizioni Scep-Tracce, 2005), ricostruisce la vicenda culturale, storica e sociale della piccola comunità di Castellamare e ripercorre i com- plessi fenomeni che s’intrecciarono nella vita della cittadina adriatica all’indomani della restaurazione borbonica e dei primi moti risorgimentali. Si tratta, infatti, di una narrazione che va dalla notte del 26 luglio 1837 al meriggio del 20 agosto 1839 e che, sulla scorta di un’ampia documentazione archivistica, spesso di prima mano, delinea le dinamiche connesse al mondo civile, alle consuetudini religiose, al potere politico, alle condizioni sanitarie (come la minaccia del colera) e alla realtà di un orizzonte cittadino e popolare che si avvede abbastanza presto delle urgenze della storia e del progresso.
Ma il racconto non si limita ad attingere alla materia archivistica per farne una tramatura di fondo, come accade nel romanzo storico di impianto tradizionale; in quest’opera la storia si amalgama con la fisionomia stessa dei personaggi, è anzi la loro concreta identità, è il loro modo tangibile di essere e di agire, e i “documenti”, con la loro specifica carica di verità, entrano nella fabula come parti insostituibili di essa, fino ad orientare i giudizi, i comportamenti e le scelte dei protagonisti, i quali appartengono tutti all’anagrafe e all’onomastica di quei medesimi anni (il sindaco Giovanni Malagrida, il vicesindaco Giuseppe Fusilli, il cancelliere Francesco Brenda, il vicecancelliere Sabatino Di Carlo, il parroco Don Andrea Pandolfi, ecc.); sicché il libro di Licio Di Biase riformula il canone del “romanzo storico” e fornisce un modello che appare del tutto nuovo nell’ambito di questo genere letterario. Dietro la Chiesa è anche un “atto d’amore” dell’autore verso la propria città, ma senza alcuna enfasi retorica e senza pregiudizi municipalistici.
La storia, per Di Biase, è via di consapevolezza e di libertà, e per il suo tradel dialetto, si recuperano le tradizioni autoctone, si ripropongono alla memoria le notizie riguardanti l’abitato, i costumi, le fiere, la cucina e si registrano anche i proverbi che – di generazione in generazione – hanno rappresentato la guida pratica e saggia di tanti uomini e donne di Castellamare, chiamati a confrontarsi con il rigore dei fatti e, talvolta, con le dure necessità dell’esistenza. Nel romanzo, inoltre, si coglie una garbata ironia che accompagna, a mo’di sottofondo, lo svolgimento dei nuclei narrativi, e che assume spesso i toni del buonsenso e della moderazione, specie di fronte a talune impuntature o a taluni paradossi che sovente s’incontrano nelle latitudini della quotidianità. E accanto alla sottile ironia – alla cui insegna peraltro il libro si chiude – non manca un piacevole lirismo, come nella descrizione della nevicata del Natale 1837 –nel cap. 2° –, o come nel tratteggio del suggestivo scorcio di primavera – nel 3° cap. – e della vendemmia – nel cap. 7° –, oppure negli accenni alla stagione delle piogge – nel cap. 11° –, che rendono oltremodo gradevole la pagina nei suoi percorsi e nei suoi livelli di espressività e di testimonianza. Si tratta, dunque, di un libro tutto da leggere, e chesa dire molto al lettore che voglia avere più chiare notizie sulla sua piccola patria, in cui ha elaborato la sua stessa identità e il suo universo storico e culturale.
Vito Moretti